Cultura
Tradizione
Oltre che per la loro bellezza inestimabile che gli è valso il blasone di Patrimonio Mondiale UNESCO, le Dolomiti sono note anche per il patrimonio di leggende che ne caratterizza la ricchezza culturale. E quest’anno saranno proprio le figure mitologiche come le Aguane, gli Gnomi, i Giganti e un Rè al centro delle campagne di comunicazione di Dolomiti Superski. Se ti vuoi tuffare in questo mondo affascinante e … favoloso, qui abbiamo ciò che fa per te.
Albolina
Nella Val de Grepa, sopra Fontanac, c'è un piccolo pianoro che chiamano "Pian da Pènt". In questo pianoro, ai tempi antichi, gli gnomi avevano tenuto prigioniera una bellissima ragazza che si chiamava Albolina. Aveva la pelle liscia e bianca come il latte, perché viveva tra le montagne e una Aguana, ninfa delle acque, le aveva insegnato a prendersi cura della pelle del viso e delle mani la mattina presto, con la luce del sole, quando sorgeva oltre le alte montagne con quel bel colore dorato. Albolina aveva preso così tanto della luce solare per farsi bella che i demoni delle montagne alte rimasero senza. Quando questi si accorsero che era sparita tutta quella luce che mancava loro, andarono da Albolina e le intimarono di restituire la luce che aveva preso per farsi bella, altrimenti l’avrebbero uccisa. Lei non voleva restituirla, per paura di rimanere brutta e sfigurata. Quando capirono ciò, la presero e la fecero prigioniera, la portarono sopra il Pian da Pènt, la legarono stretta con una treccia ventiquattro giri attorno alla vita e alle gambe, e le dissero che avrebbe potuto liberarsi solo se avesse lasciato andare tutta la luce del sole che aveva preso intorno a sé. Poi se ne andarono e la lasciarono sola. Erano già passati tredici mesi, tredici giorni e tredici ore da quando questa povera ragazza era rimasta imprigionata lì. Una notte, un bel guerriero che fuggiva dai suoi nemici passò di lì, ma era talmente buio che aveva perso l'orientamento. Albolina lo chiamò, e quando sentì che si era perso nella notte, provò così tanta pietà che lasciò andare tutta la sua luce per fare da guida a quel bel giovane, e così i demoni la liberarono. La leggenda non dice se il guerriero la sposò, ma penso che sia andata proprio così, e chissà che matrimonio hanno fatto.
Ora ascoltate la morale della storia. Le ragazze per diventare belle devono prendersi cura della pelle al mattino presto, quando il sole sorge oltre le alte creste delle montagne, e usare la loro bellezza per fare del bene alle persone, specialmente a chi le ama, e non per soddisfare i capricci degli gnomi o dei demoni.
Le streghe dappertutto
Su tutto il territorio delle Dolomiti, tra i patrimoni culturali più preziosi e radicati ci sono le leggende. È difficile trovare valli, paesi, comuni dove non ci siano leggende che raccontano di tempi lontani, di personaggi mitologici, di avventure con eroi, mostri e … streghe. Specie le streghe sono da sempre al centro di racconti che provano a spiegare fenomeni meteorologici, agricoli e naturali, altrimenti non definibili. Le streghe, che non sempre sono intese come vecchiette in groppa a una scopa volante stile Harry Potter, possono rivelarsi sia di fattura buona, che anche infinitamente cattive. Intemperie, alluvioni, frane e siccità sono spesso state imputate alle streghe cattive, che si ritrovavano in luoghi particolari per ballare ed esprimere fatture e malocchi verso gli abitanti delle valli montane. A volte le loro antagoniste, le streghe “buone”, si impegnavano affinché i sortilegi non funzionassero oppure aiutavano la gente a liberarsi delle conseguenze negative di queste maledizioni.
Sono innumerevoli le leggende con al centro la figura delle streghe nelle valli dolomitiche – tra le più note ci sono quelle delle streghe dello Sciliar, imponente montagna dalla fisionomia inconfondibile sull’Alpe di Siusi, ma anche figure come Zicùta e Spina de Mul, fratello e sorella stregoni del ramo epico di Fanes, le streghe delle valli trentine, bellunesi e anche delle Dolomiti friulane ne danno testimonianza. Da questa paura di fronte a demoni e streghe, molti luoghi hanno preso il nome di conseguenza, portando fino ai giorni nostri toponimi come “La piana delle Streghe”, il “Banco delle Streghe”, e altri ancora. Posti, che ancora al giorno d’oggi, gli abitanti del posto non passano via del tutto tranquilli…
Aquile dagli artigli d’oro
I Fanes erano gente pacifica e le marmotte erano loro alleate. Grazie a quest’alleanza segreta con le marmotte il loro regno era diventato grande e potente. Un giorno il re andò a caccia e riuscì a prendere un aquilotto, ma dal cielo piombò l’aquila con il becco di fuoco e gli artigli d’oro. “Ridammi mio figlio”, disse l’aquila, “e farò di te il re più potente di tutta la zona.” Il re acconsentì e l’aquila, che in verità era il re di un’isola lontana, propose un patto di alleanza che si sarebbe consolidato con lo scambio dei gemelli. Ed ecco che il Re di Fanes diede sua figlia Luianta, gemella di Dolasila, in pegno alle aquile, tradendo l’alleanza con le marmotte e dando inizio al tramonto di uno dei regni più splendenti del globo.
Il Re di Fanes, divenuto monarca per nozze contratte con la Regina di Fanes, la vera sovrana, era una persona avida, a cui non importavano le sorti del regno. Per preparare il terreno al suo arricchimento con i tesori dell’Aurona, il regno del sottosuolo, e all’accrescita del suo potere e gloria verso i popoli vicini, negò alla figlia Dolasila il matrimonio con il valoroso cavaliere Ey de Net, cacciandolo dal regno. Il destino della principessa guerriera era così segnato e l’alleanza segreta tra il Re di Fanes e i nemici di Fanes portò allo scontro finale. Con il tradimento del Re, Dolasila venne uccisa dagli arcieri armati di frecce stregate che lei stessa aveva regalato a dei bambini malconci incontrati per strada. Questi non erano altro che demoni inviati dallo stregone Spina de Mul per ingannare la guerriera. Il Regno di Fanes tramontò, mentre il Re era intento ad arraffare ricchezze per soddisfare la sua avidità, nei pressi di un passo dolomitico che oggi porta il suo nome - Falzarego. Si, perché per il suo tradimento, il Re falso e avido, venne tramutato in pietra e le sue effigi dominano ancora oggi il sentiero che dal Lagazuoi porta alla Punta di Fanes. Un monito ai traditori dei propri popoli.
Ma, da dove vengono gli gnomi?
Nell’immaginario di tutti, gli gnomi sono degli omini piccoli e buoni, con la barba lunga e spesso un cappello a punta rosso, vestiti con una casacca, portano una grande cintura e degli stivali da montagna. Lunghe trecce annodate con dei fiocchi colorati sono tipiche della versione femminile degli gnomi. La figura mitologica dei nani deriva dalla fantasia di Paracelso, un alchimista di epoca medievale. Fu lui che, per la prima volta, alla fine del 1400 parlò di “gnomi” facendo derivare il nome dall’etimo greco “gnosis”, che vuol dire conoscenza. Per Paracelso gli gnomi erano creature ctonie, cioè creature mitologiche che vivevano nel sottosuolo ed erano in qualche modo collegati con la vita terrestre o sotterranea. La rappresentazione fisica degli gnomi, spesso definiti anche folletti, come degli esseri umani piccoli, barbuti, talvolta buffi o, al contrario, burberi, deriva dall’evoluzione che si ritrova nella letteratura del Nord Europa, e nella letteratura fantasy. Elfi, gnomi, fate, folletti, troll: sono figure simili, spesso erroneamente confuse tra loro, che richiamano un forte legame con la natura, la terra e i boschi. Mediamente operosi, ingegnosi e particolarmente intelligenti e capaci. Curano gli animali della foresta, conoscono alla perfezione l’utilizzo e le funzioni delle erbe che regala la natura, sapendo ricavare da esse unguenti e medicinali portentosi. A seconda dell’origine geografica dell’autore che ne parla, sono descritti con accezioni caratteriali positive e talvolta anche negative. Anche nelle Dolomiti sono “di casa” gli gnomi con esattamente le caratteristiche descritte qui sopra. Non ci credete? Allora leggete:
Lo gnomo buono e la contadina curiosa
C’era una volta una giovane contadina che abitava in una piccola baita ai piedi dei giganti di roccia chiamati Dolomiti. Il posto era idilliaco, come la casetta di Heidi nel famoso cartone animato. Purtroppo però, la giovane era rimasta vedova e faceva una gran fatica a tirare avanti con gli animali, i prati da curare, le patate da raccogliere, la legna da spaccare per l’inverno. Insomma, era un dramma e quasi ogni giorno, la giovane, piangeva dalla disperazione. Lei non se ne accorse, ma uno gnomo che viveva in una grotta poco distante dalla casa della contadina, l’aveva vista in tutta la sua tristezza, mentre vagava per i boschi in cerca di bacche, funghi e magari qualche dolce frutto per sfamarsi. Come è di norma, lo gnomo, che era una buona anima, si commosse e attivò quello che è nel DNA degli gnomi buoni. Di notte, ma comunque sempre di nascosto, iniziò a fare i lavori più pesanti al posto della giovane contadina. Questa rimase sorpresa quando si ritrovò davanti un’enorme catasta di legna bella e spaccata, pronta per essere arsa nella stufa durante le gelide giornate invernali. E quando voleva foraggiare e mungere le sue mucche e caprette che teneva nella stalla, i secchi del latte erano già colmi e gli animali sdraiati per terra, sazi, a ruminare. E così anche in estate poi, quando era tempo di semina, di mietitura e raccolta. Tutto era già fatto prima che la contadina potesse iniziare. Ovviamente la donna era felicissima e pian pianino le venne il sospetto che ci potesse essere lo zampino di qualche gnomo. Una sera, la donna si nascose nella stalla e attese che qualcuno si facesse vivo. Non ci mise molto lo gnomo ad entrare, quatto quatto, nella stalla per sbrigare tutti i lavori. La contadina curiosava da dietro una grossa balla di fieno e… ad un tratto le scappò uno starnuto! Lo gnomo si spaventò e cercò di fuggire, ma la donna lo bloccò sulla porta. Con un sorriso stampato sul viso, la donna iniziò a ringraziarlo e a piangere dalla felicità. Lo gnomo, tutto contento delle lodi ricevute, tranquillizzò la donna dicendo che era contento di poter aiutarla e che l’avrebbe fatto fin tanto che ne avrebbe avuto bisogno. A una sola condizione però: la giovane non avrebbe mai dovuto chiedergli come si chiamasse. Passarono gli anni, lo gnomo era sempre il fedele aiutante della contadina, che nel frattempo conduceva una vita molto più tranquilla e meno stancante di prima. Ogni tanto, la donna cuoceva una torta nel forno e la regalava allo gnomo in segno di gratitudine. Una volta, mentre gli porgeva il dolce, la curiosità la assalì in una maniera irresistibile e le scappò di dire: “Dai, dimmi il tuo nome – siamo amici da tanto tempo!” Non l’avesse mai detto. Lo gnomo cambiò di colpo espressione in viso, divenne scuro, iniziò a urlare e scappò velocissimo dalla porta, scomparendo nella foresta. E fu l’ultima volta che la donna lo vide. E fu da allora, che la contadina dovette rimettere mano da sola a tutti i lavori nella fattoria.
I Giganti
Ammirando le guglie frastagliate delle Dolomiti e alcune delle loro cime più imponenti, l’immaginazione umana fa presto a riconoscervi le sembianze di giganti. Ed è ancora più naturale, che dall’immaginazione ne scaturiscano storie, racconti e leggende, da tramandare ai discendenti, così da creare un patrimonio culturale come lo sono appunto le tante leggende delle Dolomiti. In molte aree dolomitiche, i giganti fanno parte di questi racconti, che spesso si differenziano nella trama, ma sono molto simili alla base. Ed ecco che saltano fuori i nomi dei giganti Sassolungo e Grimm.
Sassolungo il malvagio
Si narra che tra Val di Fassa e Val Gardena abitasse una famiglia di giganti buoni. I contadini vendevano loro patate e formaggio che i giganti pagavano con l’oro raccolto nel fiume. Tra tutti uno solo era maligno: il gigante Sassolungo, ladro e bugiardo di prim’ordine. Sassolungo era così veloce e furbo che nemmeno gli altri giganti si erano accorti di quanto fosse cattivo e dispettoso. Dei raccolti rovinati furono incolpati il tasso e la talpa, dell’oro rubato la gazza, del grano asportato i piccoli sorci. E Sassolungo era il primo a gridare: “Morte alla volpe, morte alla faina, morte al falco, al tasso, alla talpa, ai sorci alla gazza! ” Così decisero che volpe, gazza, tasso e faina avrebbero sorvegliato la valle di giorno, mentre falco, talpa e sorci avrebbero vegliato di notte per capire cosa accadesse. Ben presto scoprirono che il colpevole era Sassolungo e lo condannarono a sprofondare nel terreno fino a che non avesse confessato le sue malefatte. Il gigante era così disonesto e cocciuto che nemmeno quando tutto il suo corpo fu sottoterra ammise le sue colpe e di lui rimase solo una mano tesa verso il cielo. Quella mano con le cinque dita aperte, è rimasta pietrificata nelle Dolomiti di Fassa, ed è quella che oggi chiamiamo le Cinque dita del Sassolungo.
Grimm l’innamorato
Strettamente connessa alla morfologia del territorio è anche la leggenda del gigante Grimm che abitava sul Passo Oclini tra il Corno Bianco e il Corno Nero. Secondo la storia il gigante rapì la bella figlia di un nobile della Val d’Ega, la portò nella sua reggia sul Corno Bianco e la sposò. Il padre della fanciulla, per riavere la figlia, chiamò in aiuto il celebre eroe Teodorico di Verona che in un duello nella Chiusa di Salorno riuscì a sconfiggere il gigante. Grimm, furente si ritirò sulla sua montagna e dalla cima cominciò a lanciare enormi rocce sui cavalieri che lo seguivano. Le pietre erano le fondamenta del Corno Bianco che improvvisamente crollò seppellendo non solo i cavalieri, ma anche il gigante con la sua sposa: il sangue degli uccisi tinse di rosso la valle sottostante. Ancora oggi la gola del Bletterbach risalta contro il bianco della cima: si tratta del contrasto cromatico tra la dolomia bianca della Formazione del Contrin che forma la sommità del Corno Bianco e le sottostanti rosse Arenarie di Val Gardena nelle quali è incisa la forra. Le fondamenta crollate del Corno Bianco sono riconoscibili nei blocchi di frana che dalla cima scendono verso Redagno e verso Aldino.
Dove le stelle diventano fiori
Quando Dio creò la terra, decise di ricoprirla di fiori e piante. Creò fiori di ogni colore e profumo, piante con frutti di ogni sapore ed erbe con favolose proprietà che distribuì un po’ ovunque. Prati e colline divennero meravigliosi tappeti colorati e boschi rigogliosi pieni di vita.
Solo le alte cime rocciose delle Alpi erano ancora spoglie e silenziose. Nulla poteva crescere così in alto, al freddo fra i sassi. Le montagne, rattristate, chiesero aiuto al cielo. In una notte di luna piena gli angeli colsero le stelle che illuminavano il buio e le sparsero sulle rocce, tra i crepacci. Le montagne felici le avvolsero subito in una morbida peluria per ripararle dal freddo e offrirono un po’ di terra perché potessero aggrapparsi tra i sassi con le fragili radici e la Luna, dal cielo, incantata da quello spettacolo di stelle tra i monti, mandò la sua luce e donò ai fiori il suo candore. Al sorgere del sole, le montagne erano finalmente fiorite e luccicanti di gioia: erano nate le prime Stelle Alpine.
Dove i cavalieri combattono i draghi
Ai piedi del Sas dla Crusc/Santa Croce in Val Badia viveva un tempo un drago cattivo, con il corpo simile a quello di un serpente, due zampe con lunghi artigli ed enormi ali. Il mostro divorava animali e a volte anche persone. Il suo cibo preferito erano comunque le pecore al pascolo, per cui spesso faceva irruzione negli ovili della zona, semiando panico e morte tra gli animali e odio tra gli umani.
I contadini, disperati, chiesero aiuto al cavaliere Wilhelm von Prack, detto anche “Gran Bracun”, che viveva nel suo castello a Marebbe ed era appena tornato dalla guerra.
Il cavaliere, al quale si ascrivevano coraggio e abilità fuori dal comune, indossò l’armatura, balzò in sella al suo cavallo e si diresse verso la tana del drago, sul Sas dla Crusc/Santa Croce. Il drago uscì improvvisamente dalla sua tana e si avventò sul cavaliere, il quale però non s’impaurì e colpì dritto nel cuore il mostro, che cadde dalle rocce morto e stecchito. Per lungo tempo nessuno ebbe il coraggio di andare a vedere il drago morto. A proposito del drago: si dice che solo molto tempo dopo la sua uccisione, un pastore trovò per caso ciò che sarebbe potuto essere il suo scheletro. Brrrr…
Dove le montagne cantano
Conturina era un' incantevole principessa che viveva all’interno di un palazzo con la matrigna e le due sorellastre – un classico. La matrigna era invidiosa della sua bellezza, che incantava i giovani del regno, soprattutto perché questo impediva alle due sorelle di trovare marito, dal momento che le stesse non spiccavano di certo per le loro doti.
La matrigna obbligò dunque Conturina a fingere di essere muta e stupida (le matrigne cattive se ne inventano sempre una…). Sparse la voce sperando che gli uomini smettessero di regalarle attenzioni, ma non funzionò. La becera portò dunque la giovincella all’altissima rupe che oggi domina il Passo dell’Ombretta, e la imprigionò con un incantesimo. La ragazza, se non fosse stata salvata da un giovane innamorato entro 7 anni, sarebbe rimasta intrappolata per sempre tra le rocce. Non ebbe fortuna e nessun temerario passò da quelle parti per tempo. Conturina rimase roccia per sempre, pur essendo dotata di una soave voce e tutt’oggi viandanti che solcano i sentieri ai piedi della Marmolada, raccontano di sentirla cantare nelle notti piu silenziose. Ascoltate...
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